La concentrazione è un’ altra tappa fondamentale dello Yoga, così come in tutte le vie di evoluzione spirituale. Dharana, o arte di concentrare le energie coscienti su un punto fisso, ha costituito una delle più grandi scoperte psicologiche dell’antico brahmanesimo e del buddhismo.
Gli antichi saggi avevano sperimentato in questo sforzo cosciente un’immensa potenzialità, non solo per giungere a modificare stati di coscienza, ma anche per risvegliare stati di pace, di gioia, di contentezza e di amore. Essi avevano scoperto che uno sforzo fisico e psichico, effettuato volontariamente, può far nascere dei doni spirituali.
Seguendo la via del Raja Yoga il processo meditativo si realizza quando tutta l’energia della persona entra in un rapporto intenso, vivo e vibrante con l’oggetto della concentrazione. Il percorso che si fa è sempre quello di andare da una percezione più generale, più grossolana, a una più particolare, più sottile, è come stringere le maglie di una rete per vedere la situazione nei dettagli.
L’assenza di perturbazioni provocate dai sensi, ci rende interiormente più centrati, più disponibili e la mente diventa capace di concentrazione.
La mente ha acquisito la capacità di mantenersi in un territorio circoscritto, privilegiato, con un livello molto alto di presenza, essere con ciò che siamo, con quello che stiamo facendo, è una richiesta d’essere in un determinato modo, non si è più soggetti alla fluttuazione mentale, non c’è più dispersione, c’è come una stabilità di pienezza, mi sento uno con quello che sto facendo, non c’è più il problema della distrazione o non distrazione, non devo lottare per fare silenzio.
Quindi possiamo affermare che la concentrazione è il risultato di tutte le nostre facoltà su una realtà che è diventata nel nostro cammino di purificazione uno spazio in cui riposare la mente.
Quello che è importante non è la tecnica o l’oggetto di concentrazione che si sceglie, ma il poter entrare in uno stato meditativo; l’oggetto scelto, infatti, non deve né ferire, né produrre agitazione e malessere. Comunque, qualunque esso sia, si tratta sempre“di un viaggio verso l’interno”, di un tempo di unione all’oggetto e di un ritorno all’esterno.